Un Racconto

Sono tornato a Lecce proprio per caso. Comandato per un controllo al tribunale, su un nominativo sospetto (faccio parte di uno sconosciuto ufficio che si occupa degli immigrati clandestini).

Sono arrivato alla stazione, rimasta immutata dopo tanti anni, da quel giorno che ricorderò sempre, quando solo un raggio di luce si stagliava contro un treno vuoto, in attesa. E non c’era nessuno, solo un uomo con un cane al guinzaglio…

 

Lecce voleva dire Alessandra. Lei che avevo conosciuto e amato sin da ragazzina quando, dopo un lungo inseguimento che ci ha fatto rimanere senza fiato, ci siamo baciati appoggiati alle antiche mura nei pressi di Porta Napoli… Fu allora che conobbi appieno l’anima di questa città, inafferrabile anche se ti sembra di averla conquistata. Profumata e disponibile in apparenza, ma lontana e sconosciuta, in realtà.

Infatti, dopo di allora, Alessandra non l’ho più vista. Anzi, è capitato una volta, per caso, alla stazione (sempre alla stazione).

Io ero nello scompartimento, in attesa che il treno partisse. E lei è apparsa improvvisamente, bellissima, con i capelli al vento, una visione indimenticabile. Era agitata, cercava qualcuno, con un tuffo al cuore mi sono illuso che cercasse me. E invece il suo sguardo mi ha scorso senza riconoscermi, ha trovato subito cosa cercava, era un altro, chiaramente. Era innamorata di qualcuno che partiva, ma non ero io.

Il treno si è mosso, la stazione è lentamente scomparsa, c’era lei che salutava…

Poi, non l’ho più vista.

Però, una volta mi sono fatto coraggio e, dopo aver trovato il suo numero di telefono, ho provato a chiamarla. E lei ha risposto. Ma mentre stavo per dirle tutto, che io pensavo solo a lei, che volevo rivederla, mi ha distratto una che mi ha urtato, ho chiuso il telefono come se fossi in colpa, ho guardato pieno di rabbia la scocciatrice che mi ha sorriso. Ci siamo sposati sei mesi dopo.

 

Mi sono fermato in un bar vicino alla Stazione, lungo un viale pieno di sole. Ho ordinato un espressino e mi sono seduto in attesa, ascoltando senza volere le chiacchiere di due giovani dietro di me, stavano parlando di tutto, di politica, di lavoro, di donne. C’era l’anima del Salento, in quelle parole.

-Allora?

-Allora, niente. Se non trovo qualcosa di sicuro, e penso che dovrò andare fuori, ormai qui non si conclude nulla

Ma la tua ragazza?

Le donne qui, caro mio, restano col vincitore. E il vincitore è uno raccomandato che il posto se lo trova subito. Non come noi che, invece

Ma i tempi sono cambiati…

Si, adesso non si muore più di fame. Ma bisogna comunque emigrare, andare lontano, perché qui non puoi fare nulla, anche una cosetta da nulla si perde nelle maglie inestricabili di amicizie e conoscenze…

E te ne vuoi andare, allora? Ma dove lo trovi un posto come questo?

Si, è proprio questo il problema. Sembra come nell’Odissea, quando a Ulisse e ai suoi compagni vengono offerti i frutti che ti fanno perdere la memoria. La bellezza della nostra città, la sua luce, lo sguardo gentile delle sue donne finiscono per nasconderti il vero aspetto di una realtà che è terribile, che ti rifiuta e ti costringe altrove…

Parli come un intellettuale..

Sono un intellettuale, certo. E non mi vergogno di esserlo. Proprio perciò devo rendermi conto di questa realtà e combatterla, anche se so che finirò sconfitto, costretto anch’io a fare la fila dietro la porta del solito onorevole oppure a cercarmi una qualsiasi realizzazione altrove, lontano. Verrò qui solo tra un po’ di tempo, con tanta nostalgia nel cuore..

E mi ha guardato, senza parere. Come sorpreso a fare qualcosa di sconveniente, ho bevuto di fretta l’espressino e mi sono precipitato fuori dal bar.

 

Ho ricordato, allora, anche io le mie traversie:

da studente, impegnato nel ’68 ma sempre dalla parte sbagliata;

in cerca di lavoro, a cercare di inserirmi in questo o quel ‘carrozzone’, giovane giornalista sulle barricate, senza una lira ma sempre pronto a dare battaglia;

con la società che mi ha sempre rispettato ma tenuto accuratamente a debita distanza,

anche con il fraterno amico, divenuto onorevole e sottosegretario, che non mi ha salutato più…

E poi, l’addio a Lecce, città ingrata…

Alessandra, lei su tutte, che era, è il simbolo di questa realtà sfuggente, impalpabile, ricca di luce e calore.

Alessandra che sarebbe stata mia, se avessi avuto più voglia di lottare,

mi avrebbe fatto impazzire,

sarebbe stata la mia donna,

splendida e lussuriosa in ogni circostanza,

misteriosa e sensuale.

 

Poi, sono arrivato nei pressi del Tribunale, ho varcato le porte elettroniche, mi ha circondato l’aria diversa, opprimente di quel luogo. Ho chiesto al carabiniere di guardia della dottoressa Altieri. Mi ha indicato il terzo piano. Ho percorso quei corridoi maestosi e vuoti, tipici di un Tribunale. Sono arrivata davanti alla porta con la targhetta “dr A. Altieri” e sono entrato.

Lei era china a scrivere e non mi ha visto subito. Ha alzato la testa solo quando, in piedi, sono arrivato proprio di fronte alla sua scrivania. Mi ha guardato con indifferenza, era sempre bellissima.

Alessandra.

 

Già: scherzi del destino, casualità, combinazione. Lei era la dottoressa Altieri, della sezione immigrati. Io non lo sapevo, certo. Ma lo speravo, come tutti gli innamorati sperano di trovare il loro amore ‘per caso’, inaspettatamente.

Poi, mi ha sorriso, ma era un sorriso standard, probabilmente non si ricordava di me. Anzi, lo scoprivo con un po’ di delusione, non mi aveva riconosciuto. Eppure era lei, era lei, la donna dei miei sogni, un po’ cambiata, forse, rispetto alla mia immagine. Ho guardato subito la sua mano sinistra: sposata, sposatissima, ma certo, come dubitarne?

 

Buongiorno, mi ha detto

Ciao, le ho risposto con tono confidenziale

Mi ha guardato un po’ sorpresa, mi ha interrogato con lo sguardo.

Tu sei Alessandra, no? La ‘mia’ Alessandra. Non mi dire che hai dimenticato tutto… Anche se è passato parecchio tempo, però…

Mi è parso come se il tempo si fermasse. Mi sembrava di vedere la scena dal di fuori, noi due immobili, tutto come cristallizzato in attesa della reazione della dottoressa Altieri.

Che avrebbe potuto

fingere di nulla e negare qualsiasi ricordo

sorridere e non dare importanza alla cosa

rispondere freddamente

dimostrare imbarazzo

 

E invece, lei ha fatto una cosa che non mi aspettavo: si è alzata lentamente dalla poltroncina, ha girato attorno alla scrivania, è venuta davanti a me e, fissandomi negli occhi, senza una parola, mi ha baciato.

 

Il suo bacio è stato lungo, lunghissimo, per me. E sono passati nella mia mente tutti gli attimi di eccitazione, di piacere, di calore sensuale che avevo vissuto fino ad allora. Sono ritornato in me, solo per notare che lei si era riseduta compostamente, aveva ripreso a scrivere e, mentre si accingeva a rispondere al telefono che squillava con insistenza, mi ha allungato un foglietto di carta con su scritto: “ore 18 dove sai tu”.

 

Sono uscito dal Tribunale e non ricordo più nulla: ho solo pensato con insistenza dove era quel posto ‘che sapevo io’.

 

Non poteva essere che dove ci eravamo baciati quella volta, vicino alle antiche mura, nei pressi di Porta Napoli.

 

Ed è stato lì che l’ho incontrata, puntualmente all’ orario indicato, perfetta e affascinante, meglio di qualsiasi mia possibile immaginazione.

Ha fatto tutto lei, mi ha preso per mano e mi ha portato in un bar, là vicino. In una saletta molto intima, mi ha guardato a lungo sorridendo.

Forse, parlano di più gli occhi, le ho detto, per rompere il ghiaccio. Lei non ha risposto.

Tu sapevi che io… Ma lei non rispondeva, continuava a guardarmi sorridendo. Poi ha parlato, tutto d’un fiato, non si poteva interrompere.

Tu sei straniero, evidentemente. Straniero nell’animo, ti manca qualcosa per essere perfettamente integrato con noi, con la nostra esistenza fatta di sguardi, di mezze parole, di silenzi. Tu credi ancora che ‘essere chiari’ e dire ciò che si pensa sia un atteggiamento positivo. Soprattutto con le donne. Povero stupido. Scusa ma devo dirtele io, queste cose, perché evidentemente da solo non ci arrivi. Hai idealizzato una ragazza che, una volta, ti ha baciato, come ne ha baciati tanti altri che le piacevano. Adesso, cosa vorresti, una grande storia d’amore, coinvolgente ed appassionata? Che magari ti distrugge e ti illude? Che ti fa rimettere tutto in discussione?

Io ti offro solo un’avventura, se vuoi. Un giorno, due, non di più. E poi di nuovo lontani, non ci vedremo più, solo il ricordo di qualcosa che c’è stato e basta. Scegli, tocca a te decidere. Io, per me, ho già scelto…

 

Mi ha guardato in silenzio e ha ripetuto, a denti stretti:

Tu non sei dei nostri, non lo sarai mai…

 

Lo confesso. Ho tergiversato.

Secondo copione mi sarei dovuto alzare e me ne sarei dovuto andare, dicendole qualcosa che la ferisse pesantemente. Però lei era bella, mi piaceva, non nascondo che quel discorso mi intrigava…

Vicino a noi, c’era un tavolino occupato da due giovani, parlavano fra loro e una frase mi ha colpito: ‘Lo sguardo gentile delle donne ti nasconde una terribile realtà’.

Sei una donna eccezionale, sai far capire le cose come nessun altro, le ho detto, non sapendo bene io stesso cosa intendessi.

Da me o da te? Le ho chiesto guardandola negli occhi.

 

Siamo andati da lei. Un appartamento che era di un’amica, lo usava (presumo) per i suoi eventuali incontri, era nella vecchia città, da una veranda si poteva vedere la distesa di terrazze grigie a perdita d’occhio, con le cuspidi delle chiese ad interrompere la monotonia del panorama.

Lei mi ha baciato ancora, davanti a quella bella visuale di città, non diceva più nulla, mi ha lasciato da solo, è sparita dietro una porta….

Ho gironzolato un po’ per l’appartamento, ho provato il letto, ho guardato i dorsi dei libri.

Poi, ho aperto piano la porta e me ne sono andato, in silenzio,

Ho percorso tutta la città, verso la stazione.

Ho fatto la fila davanti allo sportello della biglietteria, dietro di me c’erano i 2 giovani del bar…

Stavano aspettando anche loro per fare il biglietto.

-    Questo momento arriva sempre, prima o poi   ha detto uno

Si, non c’è niente da fare  - ha detto l’altro - è questo il nostro destino.

Anche lei se ne va?  -Mi ha chiesto improvvisamente quello più vicino, come se mi conoscesse da tempo.

Si, gli ho risposto. Una pausa e poi –Non è riuscita, questa volta, a farmi mangiare il frutto proibito, quello che fa dimenticare…   Ho sorriso, è arrivato il mio turno, ho fatto il biglietto.

 

Sulla pensilina, c’era l’identica luce, la stessa atmosfera. Anche il treno sembrava uguale, il tempo si era fermato. Ho aspettato il Grande Evento, che qualcosa accadesse e mi riportasse indietro.

 

Il treno si è mosso, lentamente.